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Le città post Covid

Le città post Covid

Da quando la diffusione del Covid-19 ha trasformato il contatto fisico nel "male assoluto", la densità delle metropoli è accusata di essere una delle cause per la rapida diffusione della malattia. Infatti, delle immagini che sono circolate in questi mesi di pandemia, quelle delle città vuote hanno probabilmente colpito di più.
Dopo mesi di auto-isolamento, a poco a poco si sta tornando alla normalità ed è difficile non chiedersi che tipo di impatto avrà il coronavirus sulle nostre città. Gli spazi pubblici e le folle ormai sono parte determinante delle megalopoli, le persone che li riempiono hanno fatto diventare quei luoghi, che siano le piazze piuttosto che i parchi, emblemi architettonici.
La folla faceva invece paura nel XIX secolo, quando le strade strette, prive di aria e brulicanti di gente, erano il simbolo di povertà e di malattie. L'affollamento e le scarse condizioni igieniche hanno continuato a preoccupare fino alla prima metà del XX secolo. Così, se l'introduzione dei sistemi fognari sono una conseguenza del colera e l'estetica "pulita" del modernismo è il risultato della tubercolosi, cosa ci lascerà il coronavirus? Gli spazi pubblici potrebbero necessariamente diventare più silenziosi e meno sociali.
Viene spontaneo ricordare il progetto utopico del 1922 di Le Corbusier, Ville Contemporaine: una città costituita di grattacieli e strade sopraelevate, piena di luce, spazio e vegetazione, con pochissimi abitanti. In un mondo post pandemia, il progetto del maestro di origini svizzere può diventare attuale.
Siamo in un momento di rivoluzione sociale, culturale e, ovviamente, anche economica con un forte impatto sulle nostre vite. Per questo bisogna pensare che è necessario trasformare questa fase in un'opportunità di nuovi modelli di vita. Nelle città europee il centro città è sempre stato trasformato in "salotto". Quindi questa crisi ci può insegnare che dobbiamo valorizzare il patrimonio che già abbiamo, come le piazze.
Infatti, durante questa pandemia ci siamo resi conto che lo smart working funziona abbastanza bene, piace ed è molto comodo. Questo modo di lavorare si consoliderà sempre di più. Ci sarà meno esigenza di metri quadrati nei grandi palazzoni e probabilmente qualcuno di questi edifici verrà dimesso. Ora l'esigenza di ridurre la mobilità fisica ha indotto ulteriormente a progettare spazi di co-working, l'impatto psicologico ma anche pratico dell'epidemia ha portato a un aumento dello smart working e ha rafforzato il commercio digitale. Passeremo gradualmente da una città monocentrica a una più multicentrica e polifunzionale, ovvero ad una smart city.
Il calo della mobilità dovrebbe far sì che le persone vivano maggiormente nell'ambiente domestico per cui anche il settore residenziale andrà sempre più verso una progettazione green con maggiori spazi esterni, sia di balconi e terrazzi, ma anche di giardini condominiali per attività comuni. Tutto ciò potrebbe avere un grande effetto a catena sullo skyline. I grattacieli sarebbero più costosi da costruire e meno efficienti, il che potrebbe ridurre l'attrattiva economica per gli imprenditori nella costruzione di super-torri. Ora, dopo essere stati rinchiusi per mesi, potremmo essere tutti più interessati al valore dei parchi e degli spazi verdi urbani, nonché alla valorizzazione delle infrastrutture pubbliche.
Quindi con questa emergenza sanitaria ci sarà una forte spinta alla riprogettazione delle città. La Ville Contemporaine è stata d'ispirazione per molti urbanisti e architetti, anche se, col senno di poi, criticata. Su una cosa aveva certamente ragione Le Corbusier: l'affollamento. Non occorre diventare asociali, ma è meglio essere circondati da spazi verdi che da costruzioni. Non è una negazione delle città, ma un tratto distintivo per ricordare che ci sono diversi modi per (ri)creare un ambiente urbano.

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